«Domani andremo a trovare la nostra amica Pozzi, le ho promesso una visita, e onestamente ho voglia di evadere, cosa di 2 giorni. Quando sarò dall’amica Antonia le parlerò di te, di quanto l’ami, ipoteticamente parlando. Al solo pensiero mi sembra di essere un uccellino che scappa dalla gabbia».
Con queste parole, il 9 settembre 2013, Adelaide mi comunicava l’intenzione di recarsi al sepolcro della grande poetessa milanese, sepolta a Pasturo, dove trascorreva le vacanze estive, fra le adorate “mamme montagne” della Valsassina.
La comunicazione di Adelaide, ovviamente, mi ha molto rallegrato, soprattutto per due motivi:
da un lato perché rivelava di condividere la mia passione per la poesia di Antonia Pozzi (gli eredi hanno di certo trovato fra i suoi documenti il libro di poesie di Antonia Pozzi), e dall’altro perché, con la sua presenza al sepolcro, mi avvicinava ancor più alla poetessa (scomparsa da ormai 75 anni, suicida), fino ad estendere a lei, lo stesso rapporto di amicizia stabilito con me.
E’ stata inoltre una bella sorpresa, per me, constatare che Adelaide aveva finalmente compreso l’importanza della poesia di Antonia nel mio impegno di rivivere e far conoscere il suo martirio, come le avevo rivelato l’anno prima, il 23 aprile 2012, inviandole la fotografia della tomba coperta di neve in cui giace il corpo della poetessa e facendole poi, pervenire il mio libro delle poesie di Antonia Pozzi.
«Senza di lei non sarei riuscito ad avvicinarmi al tuo dolore» le avevo confessato, dopo averle ricordato che, quattro anni prima, nel 2008, alla presentazione – presso la biblioteca “Sormani” di Milano – del mio “Ali spezzate“, avevo letto una bellissima poesia di Antonia Pozzi, “Secondo amore“, per far capire ch’era rinata dalla morte benedicendo il martirio dopo la feroce svestizione dell’abito di novizia Sacramentina.
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Ma in quel tempo, nel 2012, anno precedente alla sua vista al sepolcro della poetessa, Adelaide mi aveva contraddetto, scrivendomi così, il 24 aprile: «Tu dici che grazie alle poesie di Antonia hai capito il mio dolore, permettimi di dissentire»; e due giorni più tardi, rilevando l’importanza del mio lavoro, grazie al quale lei stessa aveva trovato la forza di combattere per la verità. aveva aggiunto: «Coi tuoi libri mi hai dato energia e voglia di difendere le apparizioni».
Il dissenso di Adelaide non mi è stato difficile accettarlo.
Comprendevo infatti, che accentuava il contenuto e il fine del mio lavoro – a discapito del modo in cui era stato condotto e delle principali fonti ispiratrici (la poesia di Antonia Pozzi, oltre al pensiero di René Girard) – perché impegnata, in un’aspra lotta, con tutta se stessa: sia per affrontare le angosce causate dal ricordo dei traumi spaventosi vissuti fin da bambina, e rimossi da anni nel profondo dell’animo, sia per respingere il terrore e le minacce incessantemente fomentate contro di lei dal cerchio di ecclesiastici e laici nemici delle apparizioni, intenzionati, con ogni mezzo, a costringerla al silenzio.
Adelaide mi aveva confidato questa sua pena, lunedì 13 febbraio 2012, scrivendomi:
«il mio cervello aveva nascosto tanti ricordi dolorosi, e ora leggendo e rileggendo il tuo libro e anche gli altri, i ricordi tornano a galla piano piano. Ma dovrai essere paziente, aiutami affinché i ricordi tornino a galla; sono seppelliti nel mio subconscio. Ci vorrà un po’, ma io so che in te ho un amico pronto ad aiutarmi in questo doloroso compito di riportare a galla i ricordi dolorosi».
Confidenza preziosissima, grazie alla quale ho cercato di avvicinare ancor più Adelaide alla poesia di Antonia Pozzi, che aveva sofferto strazianti angosce di morte per la perdita del bambino strappato dal suo grembo, proprio com’era accaduto ad Adelaide, a causa della svestizione violenta dell’abito di novizia Sacramentina, nel convento di Lavagna, nel gennaio del 1953.
Rivivendo, in me, il dramma vissuto dalla poetessa, nel capitolo “La morte viva” del mio “Ali spezzate“, avevo raccontato così l’immenso dolore che aveva spezzato il cuore di Adelaide fino a spingerla a pensare al suicidio e così stringere per sempre, oltre la morte, il Bambino perduto:
Chi avrebbe potuto capire che strappandole il vestito le avevano sradicato la Vita dal cuore? Chi avrebbe capito che la sua anima sanguinava per questo, trafitta dalle stesse angosce di una madre alla quale è stato strappato il sogno più bello, la propria creatura, il figlio amato?
E poi così avevo continuato:
Una grande stanchezza si impossessò di lei. Inesorabilmente lasciò che il freddo s’impadronisse delle sue ossa. Nemmeno il richiamo delle cose amate riuscì a trattenerla. Le salutò piangendo, poi chiuse gli occhi, cominciò a scivolare via nel buio, desiderosa di non aprirli più sul mondo. E certo avrebbe varcato il punto del non ritorno se nel fondo più buio una mano forte non l’avesse trattenuta col suo calore e la voce cara che ben conosceva non l’avesse richiamata alla vita.
Da allora, grazie alla poesia di Antonia Pozzi, mi ero sempre più convinto,
non solo che il dolore sofferto da Adelaide potesse essere assimilato a quello di una madre alla quale viene rescisso il bambino dal grembo, perché le avevano rescisso il Bambino Gesù dal cuore;
ma che dovesse essere considerato ancor più tremendo, perché quel Bambino, l’Agnello Eucaristico, Adelaide avrebbe dovuto portarLo nel mondo, per condurre l’umanità alla Pace, con l’abito di suora Sacramentina, offrendo se stessa, con Lui, per la salvezza delle anime.
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Per questo, la comunicazione del 9 settembre 2013, con cui Adelaide mi diceva che sarebbe andata a visitare la poetessa sulla sua tomba, mi ha rallegrato. Ancor più ricevere da lei, 5 giorni dopo, il 14 settembre, queste parole:
«Scusa, ti ho restituito il libro delle poesie di Antonia perché ne sono già in possesso e non trovo giusto privartene. Antonia mi ha parlato tanto, lei è serena, la mia Mamma l’ha aiutata molto ed ora è più poetessa che mai, il suo stile non è cambiato. Della morte e del dolore parla sempre perché, come dice, fa parte dell’essere soprattutto terreno»
Ed io così le rispondevo:
«Sono contento che tu sia andata da Antonia. Anche lei è vittima dell’incomprensione e dell’isolamento, costretta a rescindere la vita e il sogno d’amore da sé. Come te, si è data tutta, generosamente, si è spesa senza calcolo perdendosi negli altri in obbedienza alla sua natura donativa che non è stata accolta, ma allontanata come un disturbo».
E le ricordavo alcune frasi del diario di Antonia
«Quanto bene vorrei volere e non c’è nessuno…ma se non ho più forza, se tutti mi vincono, se sono inferiore perché lottare ancora e ansare e piangere…ma nemmeno il cielo mi voleva, anche quel cielo non risolveva niente e non era mio, né io sua. Mio sarebbe stato solo se lo potessi eternare attraverso la mia persona, assorbire e riesprimere da me, nutrito dal mio sangue umano per andare fra gli uomini».
Ad Antonia dunque, Adelaide si assimilava, eucaristicamente, nella morte di sé come dono, rivelando la sua anima profonda per chi l’avesse avvicinata con cuore sincero.
E per confermare il mio pensiero, prima di morire Adelaide mi mandava questa poesia, “Bellezza“, di Antonia Pozzi:
Ti do me stessa, / le mie notti insonni, / i lunghi sorsi / di cielo e stelle – bevuti / sulle montagne, / la brezza dei mari percorsi / verso albe remote.
Ti do me stessa, / il sole vergine dei miei mattini / su favolose rive / tra superstiti colonne / e ulivi e spighe.
Ti do me stessa / i meriggi / sul ciglio delle cascate, i tramonti / ai piedi delle statue, sulle colline, / fra tronchi di cipressi animati / di nidi –
E tu accogli la mia meraviglia / di creatura, / il mio tremito di stelo / vivo nel cerchio / degli orizzonti, / piegato al vento / limpido – della bellezza: / e tu lascia ch’io guardi questi occhi / che Dio ti ha dati, / così densi di cielo – / profondi come secoli di luce / inabissati al di là / delle vette –
(4 dicembre 1934)
Grazie ad Adelaide, in Antonia Pozzi, oggi posso dire di avere un’altra amica sulla soglia dei “due mondi”: i vivi e i morti.
Giuseppe
è semplicemente meraviglioso e sconvolgente al tempo stesso
grazie di cuore di queste “confidenze” che ci avvicinano sempre di più ad Adelaide
…come se lei fosse ancora qui
e lo è
realmente