L’apparizione simbolica del 21 maggio, che chiude il primo ciclo di 9 apparizioni, riconduce al tema con cui si sono aperte – ovvero: L’INCARNAZIONE DEL VERBO DI DIO NEL SENO DELLA VERGINE MARIA – che rappresenta, come detto, il fondamento delle stesse apparizioni, promosse dalla Divina Provvidenza nel Tempo di Pasqua, di cui seguono mirabilmente la liturgia – per richiamare la Verità su cui si fonda la Chiesa.
Scrive Adelaide:
“Anche questa apparizione fu preceduta dai colombi e nel punto luminoso si manifestò la Sacra Famiglia vestita come ieri, in mezzo a una chiesa. Verso la porta principale c’era: un asino color grigiastro, una pecora bianca, un cane dal pelo bianco con macchie marroni, un cavallo del solito color marrone. Tutte le quattro bestie erano inginocchiate e muovevano la bocca come se pregassero. Ad un tratto il cavallo si alzò e passando vicino alle spalle della Madonna, uscì dalla porta aperta e s’incamminò sull’unica strada che conduceva ad un campo di gigli, ma non fece in tempo a calpestarne quanti voleva perché San Giuseppe lo seguì e lo riprese. Il cavallo, appena vide San Giuseppe, cercò di nascondersi vicino al muricciolo che serviva di cinta al campo dei gigli: qui si lasciò prendere con docilità, e, accompagnato da San Giuseppe ritornò in chiesa, ove s’inginocchiò e riprese la preghiera”.
Per comprendere questa apparizione occorre iniziare dalla conclusione del racconto di Adelaide, ovvero dall’azione di San Giuseppe.
Come scrive Adelaide, San Giuseppe esce dalla Chiesa, lasciando la coppia dell’Incarnazione Gesù-Maria, per ricondurvi il cavallo che dopo esser fuggito dalla Chiesa e aver fatto strage di gigli in un campo, si era nascosto vicino al muricciolo dello stesso campo.
L’azione di San Giuseppe non è difficile da capire:
San Giuseppe riconduce in chiesa il peccatore (“persona cattiva, superba, avida di dominio” – scrive Adelaide) che ha lasciato la preghiera per seguire un modello distruttivo.
Più in particolare possiamo dire che
quale Custode della Chiesa, san Giuseppe riconduce il peccatore al modello sublime d’amore su cui si fonda da sempre la Verità della Chiesa: la coppia dell’Incarnazione formata da Gesù e Maria.
L’apparizione del 21 maggio emerge così, come il compimento delle precedenti apparizioni.
In essa possiamo ritrovare:
da un lato, la ragione dei moniti severi della Madonna verso il peccato, soprattutto verso i peccati gravi contro la vita simboleggiati dalla distruzione dei gigli del campo calpestati dal cavallo,
e dall’altro lato, la necessità della conversione col ritorno del peccatore al modello d’amore della coppia dell’Incarnazione, ovvero a Cristo e alla Chiesa, operato da San Giuseppe.
E’ questo il contesto grazie al quale si può comprendere altresì, l’importanza della coppia di colombi bianchi che compaiono all’inizio di tutte le apparizioni e conducono lo sguardo di Adelaide, dalla Luce che appare nel cielo a Oriente alla Santa Famiglia, formata appunto, dalla coppia dell’Incarnazione Gesù-Maria, con San Giuseppe un po’ discosto da loro, a segnare una distinzione sostanziale nella missione a lui affidata dalla Divina Provvidenza nell’opera della Salvezza.
L’azione di San Giuseppe si rivela nel suo significato più profondo, in particolare a proposito dei gigli (uno dei quali San Giuseppe tiene nelle mani) ricordando il passo di San Matteo (6,28-34) nel quale Gesù invita a cercare innanzitutto il Regno di Dio, Ch’Egli è venuto a portare incarnandosi nel seno della Vergine Maria.
QUESTA, LA PRIMA LETTURA, SEMPLICE, DELL’APPARIZIONE DEL 21 MAGGIO, RIVOLTA ALLA CHIESA PERCHE’ RITROVI, GRAZIE AL SANTO CUSTODE, LA VERITA’ DELL’INCARNAZIONE ALLA QUALE RICONDURRE I PECCATORI.
Ma certo non è sufficiente a esaurirne tutti i significati.
Occorre aggiungerne un’altra, che la completi, nella comprensione dei diversi elementi che la formano, in particolare degli animali posti nello stesso luogo sacro abitato dalla coppia dell’Incarnazione – ovvero la pecora, il cane, l’asino, e il cavallo – nei quali possiamo riconoscere immediatamente, senza difficoltà, le disposizioni virtuose che orientano l’uomo all’unione con Dio.
E dunque riconoscere in loro, non solo l’elemento totalmente creato dell’uomo, evidente nel loro numero (quattro) e nel loro essere quadrupedi – che rivela con evidenza un completo ancoraggio e dipendenza dalla terra – ma anche, vedendoli inginocchiati e oranti, rivolti al centro della chiesa, l’orientamento originario dell’uomo al modello d’amore dell’Incarnazione.
Posti nella chiesa, questi quattro animali ci fanno comprendere che l’uomo – unità di creato e increato nella sua stessa struttura – è disposto fin dalla Creazione a contemplare il sublime modello dell’Incarnazione, e partecipare in pienezza alla realizzazione del disegno salvifico di Cristo.
Così, la pecora non ricorda soltanto il valore umano dell’umiltà e della mitezza, ma con il suo sguardo d’amore e la preghiera rivolta al centro della chiesa, ovvero alla Santa Famiglia, questo animale docile, mite e umile rivela nell’uomo l’orientamento originario a Cristo, Che ha scelto, fin dal Principio, d’incarnare queste disposizioni virtuose fino alla massima estensione, fino ad immolarsi quale agnello condotto al macello sulla Croce per unire l’umanità alla Divinità. La pecora ricorda perciò, che, incarnandosi, Gesù ha legato queste disposizioni virtuose alla Sua divinità, offrendo così all’umanità una infinita possibilità di esprimerle. Quale immagine dell’animale sacrificale, la pecora è figura dell’Unico Agnello di Dio senza difetti e macchia Che si è spogliato volontariamente della propria gloria, e si è immolato per l’umanità intera, per unirsi in nozze eterne con lei. Nella pecora, vediamo altresì la profonda umiltà di Maria, che Dio ha guardato con tale amore da trasfigurarla nella Sua stessa abitazione, nel Suo stesso tempio, nella Sua stessa Città.
Simbolo di obbedienza e fedeltà, il cane ricorda che solo attraverso un’obbedienza senza limiti e riserve, in completo abbandono alla volontà del Padre, Cristo ha realizzato il disegno di unione dell’umanità alla divinità. Il cane rammenta che nella totale obbedienza alla volontà del Padre, il Signore Gesù ha divinizzato pienamente questa disposizione virtuosa attraverso una lotta incessante, fino all’agonia dell’Orto e della Croce, per conseguire la vittoria su ogni divisione in obbedienza alla volontà del Padre, in una continua sottomissione amorosa della volontà umana alla volontà divina, così che l’uomo potesse comprendere quanto importante sia la conformazione della volontà umana a quella divina, per vincere ogni opposizione e realizzare con Cristo l’Unità Universale nell’Amore. Il cane ricorda altresì l’obbedienza integrale e consapevole di Maria che ha permesso l’Incarnazione del Verbo divino in lei.
L’asino, da parte sua, ricorda la paziente sopportazione amorosa di Cristo in obbedienza al Padre, per unire l’umanità alla divinità; una sopportazione che Cristo ha voluto vivere senza un lamento in tutti i momenti della sua esistenza fin dal suo concepimento nel seno della Vergine Maria, quando da Lei ha ricevuto la carne umana. Presente nella stalla di Betlemme e nella fuga in Egitto, l’asino, quale immagine dell’abbassamento scelto da Cristo sulla via vittoriosa del sacrificio, porta Cristo lungo la via del trionfo, la domenica delle Palme. Di più: quale immagine del terribile dolore sopportato da Cristo per amore nostro, nell’asino comprendiamo come, proprio in virtù dell’unione sponsale delle due nature, umana e divina, il dolore sofferto dalla Sua umanità risuoni e sia avvertito anche dalla Sua Divinità, così come lo sposo soffre le sofferenze della sua sposa e compatisce spiritualmente il suo dolore. Lo stesso dolore con-sofferto da Maria che ha sopportato col Figlio tutto il Suo terribile Calvario.
Da ultimo il cavallo – nel quale Adelaide ha visto una persona cattiva, superba e avida di dominio – ci parla, paradossalmente, dello zelo ardente, dello slancio, della forza d’amore originaria dell’uomo, la stessa con cui Cristo, il Verbo di Dio fatto uomo, ha vissuto la Sua Missione di unità d’amore della divinità con l’umanità. Zelo, forza, slancio, entusiasmo, energia, e desiderio che possiamo riscontrare nelle Parole dello stesso Signore quando esprime il desiderio di accendere sulla terra il fuoco dell’amore, e ancor più nell’Apocalisse, dove il Signore è figurato nelle vesti di un cavaliere sopra un cavallo bianco che indica la forza della purezza in relazione al Suo combattimento contro il male, e la forza della fedeltà con cui unisce strettamente l’umanità alla divinità abolendo ogni divisione operata dal peccato. Nella sua immagine di forza e nobiltà, di potenza e di fierezza, raffigurato in ginocchio, in preghiera adorante nella chiesa, il cavallo fa pensare dunque, ad una potente disposizione spirituale radicata nell’uomo che lo spinge con forza verso Dio per essere rivestito della Sua Grazia. Il cavallo, più degli altri animali appare perciò, come immagine della forza d’amore donata all’uomo dal Creatore al fine di perseguire l’unità sponsale con Lui. Lo stesso slancio d’amore e ardore per Dio che Maria ha ritrovato in sé, espresso in modo sublime nell’Incarnazione, che nel Cielo risuona eternamente in un meraviglioso cantico per il Suo Sposo divino.
Perché mai allora Adelaide ha visto nel cavallo una persona cattiva, superba e avida di dominio?
Le parole di Adelaide si spiegano solo considerando l’inversione nell’orientamento di questa disposizione virtuosa.
Nel cavallo – che distoglie il proprio sguardo dal modello d’amore dell’Incarnazione ed esce dalla porta della chiesa per allontanarsi nella direzione opposta – riconosciamo l’atto libero scelto dall’uomo di rivolgere la forza del proprio spirito nella direzione opposta al modello d’amore dell’Incarnazione, attratto dalla seduzione di uno spirito opposto a Dio, verso altri modelli come possibilità di esistenza fuori dalla vita di Grazia.
il cavallo riveste dunque, un’importanza eccezionale perché la sua forza può spingere l’uomo a operare un’inversione totale nell’orientamento originario da Dio al mondo, e trasformarlo in fonte di distruzione.
L’uscita del cavallo dalla chiesa permette di comprendere che lo slancio e il desiderio d’amore donati da Dio all’uomo per realizzare una storia di felicità sulla terra, se invertiti, possono produrre un’esistenza e una storia dominata dalla violenza con conseguenze amare e dolorose. Contesto terrificante che spiega gli appelli della Madonna contro il peccato, quale inversione dell’orientamento iscritto nella stessa struttura originaria dell’uomo. (da notare che il cavallo, come scrive Adelaide, “passa alle spalle della Madonna” per evitare il Suo sguardo puro, che è un monito a rimanere nella chiesa).
QUESTA, LA SECONDA LETTURA DELL’APPARIZIONE DEL 21 MAGGIO, LA QUALE PERMETTE DI VEDERE NELL’AZIONE DI SAN GIUSEPPE L’OPERA PATERNA DI REINTEGRAZIONE NELL’UOMO DELL’ORIENTAMENTO ORIGINARIO.
A completamento di queste riflessioni, occorre aggiungere che potremo meglio comprendere l’apparizione di domenica 21 maggio esaminando l’apparizione successiva di domenica 28 maggio, solennità di Pentecoste, nella quale si vedrà come l’azione paterna di San Giuseppe sarà completata da quella materna di Maria Santissima, Che eleva il peccatore – reintegrato nella chiesa – al Suo Sacro Cuore per riunirlo a Cristo nella Grazia di Dio.