Prima di affrontare lo studio della nona apparizione di Ghiaie, occorre ricordare che Adelaide ha scritto il suo diario in una cella del convento delle Suore Sacramentine,
dov’era stata ammessa, col permesso del Vescovo di Bergamo, per prepararsi a pronunciare i voti solenni, come le aveva detto la Madonna nella seconda apparizione, e divenire Sua immagine quale Madre e Sposa del Verbo di Dio.
Il diario dev’essere perciò, considerato nell’ambito di questa Sacra Gestazione dell’eletta di Maria, chiamata a concepire misticamente il Verbo di Dio nel suo seno; e dunque, come frutto della stessa Parola Vivente concepita, con l’Incarnazione, nel Seno Purissimo dell’Immacolata Vergine Maria.
E’ in questa Luce Divina che dobbiamo avvicinarci al tesoro di Grazia custodito nel diario, costato ad Adelaide un incessante martirio.
Ben pochi sanno, purtroppo, nonostante molte testimonianze, che, nella cella di quel convento, Adelaide scrive di notte, per occultare e difendere il prezioso lavoro da interventi malvagi di alcune consorelle fomentate ad avversarla e vessarla per incrinare la sua vocazione e distruggere le apparizioni,
com’era accaduto nei conventi delle Suore Orsoline fin dai giorni delle apparizioni e poi nel convento delle Suore della Sapienza dove si è riunito il Tribunale Ecclesiastico e si è svolto il Processo contro di lei.
Questa, la premessa doverosa perché si veda ben inciso nelle pagine preziose del diario il segno della Croce di Cristo, Che Adelaide – suora Sacramentina, che, nell’adorazione della Santissima Eucarestia, si è offerta vittima per la salvezza dei peccatori – ha portato inciso nel cuore e nel corpo per tutta la vita.
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Continuiamo allora le nostre riflessioni alla Luce del Segno della Croce, esaminando la nona apparizione (ultima del primo ciclo epifanico, nel Tempo dell’Ascensione),
nella quale emerge la persona di san Giuseppe, a segnare una continuità significativa del DISCORSO SAPIENZIALE principiato nelle prime otto;
continuità, che possiamo fin d’ora sintetizzare con la seguente proposizione, per predisporre il lettore alla comprensione del racconto di Adelaide:
- mentre nelle prime otto apparizioni, in Maria riconosciamo l’immagine della Chiesa, chiamata a partecipare all’Opera della Redenzione,
- nella nona apparizione, Giuseppe personifica la figura del sacerdote e pastore esemplare, chiamato a ricondurre alla Chiesa i peccatori, affinché siano Riconciliati in Cristo mediante la Grazia del Perdono, e cibandosi dell’Eucarestia, siano elevati, in Cristo, alla Grazia della Comunione con Dio Santissima Trinità come una sola Famiglia.
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Rileggiamo dunque, il racconto di quel giorno, 21 maggio 1944, soffermandoci sulla prima parte.
Scrive Adelaide.
Anche questa apparizione fu preceduta dai colombi e nel punto luminoso si manifestò la Sacra Famiglia vestita come ieri, in mezzo a una chiesa. Verso la porta principale c’era: un asino color grigiastro, una pecora bianca, un cane dal pelo bianco con macchie marroni, un cavallo del solito color marrone. Tutte le quattro bestie erano inginocchiate e muovevano la bocca come se pregassero. Ad un tratto il cavallo si alzò e passando vicino alle spalle della Madonna, uscì dalla porta aperta e s’incamminò sull’unica strada che conduceva ad un campo di gigli, ma non fece in tempo a calpestarne quanti voleva perché San Giuseppe lo seguì e lo riprese. Il cavallo, appena vide San Giuseppe, cercò di nascondersi vicino al muricciolo che serviva di cinta al campo dei gigli: qui si lasciò prendere con docilità, e, accompagnato da San Giuseppe ritornò in chiesa, ove s’inginocchiò e riprese la preghiera.
In questo brano, si può notare, innanzitutto, che san Giuseppe, attore principale del racconto, non rimane fermo, come nelle precedenti apparizioni, accanto alla Madonna col Bambino Gesù in braccio,
ma si muove, ed esce dalla chiesa, staccandosi dalla coppia dell’Incarnazione (costituita dalla Madonna col Bambino Gesù in braccio), alla ricerca di chi se ne è andato, simboleggiato dal cavallo, figura del peccatore, per ricondurlo in chiesa a pregare e contemplare di nuovo il modello dell’Incarnazione.
E’ molto importante sottolineare questo passaggio, dalla stasi all’azione, perché proprio in questo passaggio si può comprendere il sublime ed eccelso compito assegnato da sempre a san Giuseppe, da Dio Santissima Trinità, nell’ambito del Mistero stesso dell’Incarnazione e, conseguentemente, della Redenzione.
Cerchiamo allora, di scoprire il significato di questo passaggio.
E a tal fine si propongono due percorsi similari, secondo due significati diversi da attribuire alla chiesa al centro della quale, come scrive Adelaide, appare la Santa Famiglia.
Ovvero consideriamo
- dapprima, la chiesa, come simbolo dell’anima umana
- e poi, la chiesa come casa di preghiera (come Adelaide stessa la identifica nella seconda parte del racconto).
PRIMA INTERPRETAZIONE: LA CHIESA COME FIGURA DELL’ANIMA
Essendo la Santa Famiglia lo specchio fedele della Santissima Trinità,
nella Santa Famiglia al centro della chiesa, possiamo vedere il modello d’amore posto al centro dell’anima per condurla all’unione con la Santa Trinità.
Di conseguenza, nei quattro animali che pregano inginocchiati contemplando la santa Famiglia, possiamo identificare le disposizioni virtuose originarie dell’anima umana (la pazienza raffigurata dall’asino, l’umiltà raffigura dalla pecora, la fedeltà raffigura dal cane, e la forza vitale raffigurata dal cavallo) orientate al modello d’amore della Santa Famiglia per condurre l’anima all’unione con Dio Santissima Trinità.
E poiché il cavallo, che esce dalla chiesa, rappresenta la forza vitale dis-orientata dalla seduzione di uno spirito maligno,
in san Giuseppe che riconduce il cavallo nella chiesa, possiamo riconoscere la funzione paterna dell’anima che riconduce questa disposizione al centro dell’anima, affinché, nella preghiera, riunita alle altre disposizioni virtuose, contemplando il modello d’amore della Santa Famiglia riprenda lo slancio verso l’unione con Dio Santissima Trinità.
SECONDA INTERPRETAZIONE: LA CHIESA COME CASA DI PREGHIERA
Confermando nella Santa Famiglia al centro della chiesa, il modello d’amore che conduce all’unione con la Santa Trinità,
nel cavallo possiamo anche vedere tutte quelle anime, o meglio quei figli di Dio che hanno rifiutato Dio Santissima Trinità e si sono allontanati dalla Chiesa rinnegando la Grazia del Battesimo per seguire una falsa trinità,
ma che, ricondotti alla Chiesa da san Giuseppe, ritrovano nella Confessione dei peccati la Grazia del Battesimo, e insieme ai fratelli rimasti nella Chiesa, di nuovo pregano contemplando il modello d’amore della Santa Famiglia, per ritrovare la Comunione con e in Dio Santissima Trinità.
Grazie a questa interpretazione riconosciamo in san Giuseppe il pastore che riporta l’unità nella Chiesa e ricompone la Famiglia dei figli di Dio.
In entrambe le interpretazioni san Giuseppe appare dunque come la persona della Santa Famiglia capace di ristabilire nel peccatore il legame spezzato con l’anima e con la Chiesa.
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A tal proposito occorre fermare l’attenzione su un brano del racconto di Adelaide, ripreso nella seconda parte dello stesso racconto, nel quale la piccola eletta di Maria nel ricordare l’incontro fra il peccatore, raffigurato dal cavallo, e san Giuseppe, mette in evidenza che il peccatore si arrende al santo perché colpito dallo sguardo di san Giuseppe.
Scrive Adelaide nella seconda parte del racconto:
San Giuseppe, avvicinatosigli, lo guardò con dolce sguardo di rimprovero e lo condusse nella casa di preghiera.
Lo sguardo di Giuseppe si rivela, chiaramente, come il fattore determinante che in un istante fa capire al peccatore l’errore compiuto, tanto da farsi ricondurre docilmente alla chiesa.
Perciò, ci domandiamo:
cosa vede il cavallo peccatore nello sguardo di san Giuseppe?
Alla mente del cristiano, che conosce i vangeli dell’Infanzia, la risposta giunge immediata.
Nello sguardo di san Giuseppe, il peccatore riconosce lo sguardo di Gesù che san Giuseppe ha contemplato, tutti i giorni per tutti gli anni vissuti con Lui a Nazareth, fino a imprimerlo nel suo stesso volto.
Più semplicemente:
nel volto di Giuseppe, il peccatore riconosce il Volto Santo della Misericordia.
Giuseppe si rivela così come figura di Gesù Cristo Sommo Pastore, chiamato a ricondurre i figli di Dio alla Chiesa perché ricevano la Grazia del Perdono e, Riconciliati con Dio, siano elevati alla Comunione con Cristo, in seno alla Santissima Trinità, a formare una sola famiglia.
La riflessione sulla nona apparizione potrebbe terminare con questa scoperta tanto semplice ed evidente.
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Ma proprio grazie a questa scoperta, continuando a riflettere più in profondità, in san Giuseppe intravediamo una verità estremamente grande e sublime,
se col pensiero ci portiamo a Nazareth, ed entriamo alla Santa Casa nel momento del desco,
e vediamo
Giuseppe, capo famiglia, che prende il pane azzimo lo benedice, lo spezza e lo distribuisce; poi prende il calice di vino, lo benedice, lo beve e lo distribuisce.
Come non sentir risuonare, allora, nei sacri gesti di Giuseppe, le parole di Gesù ricordate nel brano evangelico che racconta l’istituzione dell’Eucarestia?
Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati
Confronto forse ardito, quello fra la Santa Casa e il Cenacolo, avvalorato tuttavia, dalla certezza interiore che:
proprio in quel momento, alla Santa Mensa di Nazareth, nei sacri gesti di Giuseppe,
Gesù, il Verbo di Dio, vive la Santa Passione, iniziata con la Sua Incarnazione nel Seno dell’Immacolata Madre, Vergine Maria, e rivelata in seguito, apertamente, al Cenacolo.
Certezza, che avvertiamo come verità, e che ci permette di riconoscere il Cenacolo prefigurato, in quel momento, nella Santa Casa,
- dove il Verbo di Dio Incarnato vive già, sulla terra, la Sua Santa Passione e celebra misticamente la Santa Eucarestia in unità
- con l’Immacolata Madre Maria, figura della Sua Chiesa – chiamata a partecipare all’Opera della Redenzione,
- e con il castissimo padre Giuseppe, sposo della Sua Santa Madre Maria e dunque della Sua Chiesa; e Sua stessa immagine, come figura di Lui, Verbo di Dio Incarnato, Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza.
Su quella Santa Tavola, Santo Altare della Santa Casa, il Verbo di Dio nel Fanciullo Gesù, con Giuseppe e unito a Maria, si offre, già, come al Cenacolo e poi sul Calvario, al Padre Eterno, quale Vittima Purissima per la salvezza del mondo,
confermando innanzitutto ai Santi Genitori – che, in quel pane e in quel vino, si cibano misticamente del Suo Corpo e del Suo Sangue – la Preredenzione donata loro, per Grazia, da Lui, Figlio di Dio, in unità col Padre e lo Spirito Santo.
Grande Mistero di Grazia, che si può contemplare in tutta la Sua immensa estensione ( sempre nella stessa interiore certezza che nella Santa Casa si anticipa il Sacrificio Eucaristico),
scorgendo, presenti al Desco-Altare di Nazareth – e uniti al Fanciullo Gesù, Vittima Immolata per la Redenzione dei peccatori – la moltitudine immensa di piccoli martiri innocenti prescelti da Dio Santissima Trinità a partecipare, con la Santa Madre Maria Immacolata, all’Opera della Redenzione.
Grazie al quale, finalmente, si può comprendere in pienezza, rileggendo il racconto di Adelaide, la ragione profonda che piega il cavallo peccatore, tanto furioso.
Sul volto di Giuseppe, il peccatore vede il dolce sguardo di rimprovero di Gesù che soffre, nella Sua Santa Passione e Morte in Croce, per la remissione del suo peccato, e il Martirio di tanti innocenti, raffigurati dai gigli da lui calpestati, che soffrono, con Gesù, per espiare la sua colpa.
E per questo si pente con tutto il cuore, con il proposito di convertirsi, tornare alla chiesa a contemplare di nuovo la santa Famiglia e riunirsi ai fratelli, in Comunione con Dio santissima Trinità.
Nell’azione di san Giuseppe possiamo così capire, ancor meglio, la continuità della nona apparizione con le otto precedenti.
Gli appelli accorati al rifiuto del peccato e alla conversione implorati dalla Madonna nelle prime otto apparizioni si ritrovano nello sguardo di Giuseppe chiamato a ricondurre alla Chiesa i peccatori che si sono allontanati, perché, pentiti, confessino i loro peccati e, nelle mani di Maria, si uniscano a Cristo Eucarestia per vivere in Comunione con Dio Santissima Trinità.
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Come si può notare, nella nona apparizione torna con grande risalto il tema Eucaristico, tanto importante nel messaggio di Ghiaie,
chiaramente evidenziato nella vocazione di Adelaide chiamata dalla Madonna, nella seconda apparizione, a farsi suora Sacramentina;
e, ancor prima dello stesso ciclo epifanico, nelle Messe al bosco,
celebrate da Candido, sacerdote nell’anima, e dunque anch’egli figura di Giuseppe, assistito dalla piccola Adelaide, già religiosa nell’anima, e dunque figura di Maria, con la moltitudine di bambini martiri mandati dal Cielo in quel bosco a partecipare alla celebrazione di quell’innocente e puro Sacrificio Eucaristico, con la presenza, in mezzo a loro, del Fanciullo Gesù, come al Santo Desco di Nazareth prefigurazione del Cenacolo.
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A conclusione di questa prima parte della riflessione su san Giuseppe, e in rapporto a quel che abbiamo affermato nelle precedenti riflessioni, sulla Santa Vergine Maria,
ci par di poter dire che:
con Maria – donata dal Padre, nello Spirito Santo, al Figlio, e scelta dal Figlio stesso per essere la Sua Santa Madre, e dunque figura della Chiesa, partecipe della Redenzione,
anche l’umile e casto Giuseppe viene donato dal Padre, nello Spirito Santo, al Figlio, e scelto dal Figlio stesso – perché sia immagine fedele del Figlio, quale Sommo Sacerdote e Pastore della Chiesa, e dunque suo Vicario,
chiamato a ricondurre i peccatori alla Chiesa, affinché ricevano la Grazia del Perdono e, Riconciliati con Dio, siano elevati, nelle mani di Maria, alla Comunione con Cristo Eucarestia, e riuniti come una sola famiglia, nell’Amore di Dio Santissima Trinità.
A conferma di quanto affermato, si propone il seguente brano di Joseph Ratziger (in Maria, chiesa nascente, san Paolo, 1998, pg. 75)
San Giuseppe viene indicato tramite il bastone fiorito come sommo sacerdote come archetipo del vescovo cristiano. Maria è invece la Chiesa vivente. Su di lei viene lo Spirito santo e così diventa il nuovo tempio. Giuseppe il giusto è presentato come amministratore dei misteri di Dio, come sovrintendente e custode del santuario che è la Sposa e il Logos in lei. Così egli diventa l’immagine del Vescovo, al quale è affidata la sposa, essa non è a sua disposizione, ma sotto la sua protezione.
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IN RAPPORTO A FATIMA
Al fine di confermare ulteriormente la figura di san Giuseppe come presentata in questa riflessione, si propone
- dapprima di allontanarci da Ghiaie e recarci, per un momento, a Fatima, ad assistere, in particolare, all’ultima apparizione del 13 ottobre 1917,
nella quale san Giuseppe benedice il mondo, in tutta la Gloriosa Maestà di cui il Signore lo riveste, mostrandosi, con grande evidenza, nella figura del Vicario di Cristo che impartisce, “Urbi et Orbi”, la più solenne benedizione apostolica nella Chiesa.
come si legge nelle “Memorie” di suor Lucia, che scrive:
Sparita la Madonna nell’immensa distanza del firmamento, vedemmo, accanto al sole, San Giuseppe col Bambino e la Madonna, vestita di bianco, con un manto azzurro. San Giuseppe col Bambino sembravano benedire il mondo. Poco dopo, sparita questa apparizione, vidi il Signore e la Madonna che mi pareva la Madonna Addolorata. Il Signore sembrava benedire il mondo nello stesso modo di San Giuseppe.
- E poi, da Fatima, tornare a Ghiaie dove san Giuseppe riappare, come a Fatima, con la Santa Famiglia;
ma non nella chiesa del Cielo a benedire il mondo nella figura del Vicario di Cristo, bensì in una chiesa della terra, dalla quale esce a cercare i peccatori, nella figura del Sommo Pastore.
Così da riconoscere, fra le due grandi epifanie, un’evidente continuità e circolarità
Ovvero che:
- se a Fatima san Giuseppe si mostra come Vicario di Cristo e figura del Sommo Pastore che benedice il mondo, dalla Chiesa del cielo, consacrandolo al Cuore Immacolato di Maria per riunirlo in Cristo all’Amore del Padre,
- a Ghiaie san Giuseppe si mostra come Vicario di Cristo e figura del Sommo Pastore che riconduce i peccatori alla Chiesa della terra per riunirli nelle Mani Immacolate di Maria e, nel Suo Cuore, in Cristo all’Amore del Padre, perché salgano alla Chiesa del Cielo.
Importante notare che, nella circolarità fra Chiesa del Cielo e Chiesa della terra, Giuseppe si rivela, quale figura del Vicario di Cristo, come PONTE fra le due Chiese.
Questo lo si rimarca perché, com’è noto, nell’esaminare i rapporti fra le due trinità – terrestre e celeste (Santa Famiglia e Dio Santissima Trinità) – molti autori hanno correlato Giuseppe con lo Spirito Santo in quanto sposo di Maria e dunque come suo Vicario; e molti altri col Padre, come Suo Vicario in quanto padre putativo.
Mentre Gesù è solitamente rapportato a Se stesso quale Figlio di Dio.
ALTRE RIFLESSIONI SU SAN GIUSEPPE IN QUESTO SITO
IN RELAZIONE ALLA FIGURA DEL CAVALLO E DEGLI ALTRI ANIMALI NELLA CHIESA